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Ambiente di lavoro “stressogeno”: la sentenza della corte di cassazione

Cassazione Civile, Sez. Lav., 04 gennaio 2025, n. 123
Straining – Responsabile il datore di lavoro che tollera un ambiente lavorativo
stressogeno e non si adopera per evitare i conflitti

La sentenza ricostruisce il c.d. straining e fissa alcuni principi in materia di condotta
datoriale. Il termine straining deriva dall’inglese “to strain”, che vuol dire “mettere sotto pressione”. In un contesto lavorativo chi è vittima di straining è sottoposto a stress
continuo a causa di comportamenti (azioni o omissioni) del datore di lavoro o dei colleghi.
La figura si differenzia dal mobbing perchè non richiede una serie di comportamenti
vessatori, ma può manifestarsi anche attraverso episodi, anche un singolo episodio, che provocano un disagio permanente. Per le sue caratteristiche viene anche definito
“mobbing attenuato” con un’espressione in qualche modo fuorviante.

Inizialmente, infatti, la giurisprudenza ha letto lo straining quale forma “minore“ del
mobbing e dunque necessitante dell’elemento psicologico di questo, cioè azioni
intenzionalmente realizzate ai danni della vittima; successivamente lo straining è stato
privato di tale necessaria caratteristica di tipo soggettivo ed è stato riconosciuto che “«può anche derivare, tout court, dalla costrizione della vittima a lavorare in un ambiente di
lavoro ostile, per incuria e disinteresse nei confronti del suo benessere lavorativo con
conseguente violazione da parte datoriale del disposto di cui all’art. 2087 cod. civ.»
( Cass., 29 marzo 2018, n. 7844).

Secondo tale pronuncia lo straining si può verificare anche quando manchi una pluralità di azioni vessatorie (tali da non potersi configurare il mobbing, pur essendo di fronte ad una
fattisepcie dolosa) oppure quando il il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il
mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori».

Un esempio del primo caso è stato, ad esempio, riconosciuto in due singoli episodi rispetto al lavoro di un sanitario al quale il primario si era rivolto aggressivamente per aver redatto
una consulenza senza il suo consenso e poi si era rifiutato di consegnare la scheda di
valutazione (Cass, 19 febbraio 2016, n. 3291). Esempio del secondo caso lo troviamo
proprio nella sentenza che commentiamo, cioè quella del datore di lavoro che tollera
(senza essere animato da intento persecutorio ma a titolo di mera colpa) una condizione di lavoro lesiva della salute secondo il dettato dell’art. 2087 c.c.. Deve cioè trattarsi di
condotte che siano oggettivamente mortificanti e vessatorie. Restano fuori da tale ambito quelle condotte che derivano dalla “qualità intrinsecamente ed inevitabilmente usurante
della ordinaria prestazione lavorativa» (conf. Cass., 29 gennaio 2013, n. 3028) oppure
«tutto si riduca a meri disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili» (conf. Cass., sez. un., 22 febbraio 2010, n. 4063; Cass., sez. un.,
11 novembre 2008, n. 26972).

In sintesi, anche in questa sentenza, la Corte di Cassazione conferma l’indirizzo già
assunto in precedenza (Sez. L – , Ordinanza n. 3692 del 07/02/2023, Rv. 666621 – 01),
secondo il quale “(…) in tema di responsabilità del datore di lavoro per danni alla salute del dipendente, anche ove non sia configurabile una condotta di “mobbing”, per l’insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare la pluralità continuata di
comportamenti pregiudizievoli, è ravvisabile la violazione dell’art. 2087 c.c. nel caso in cui
il datore di lavoro consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori ovvero ponga in essere
comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress, che si
manifestino isolatamente o invece si connettano ad altri comportamenti inadempienti, contribuendo ad inasprirne gli effetti e la gravità del pregiudizio per la personalità e la
salute latamente intesi, e che (da ultimo, Cass.n. 15957 del 7.6.2024; Cass. n. 3822 del
12.2.2024; n. 4664 del 21.2.2024) un ambiente lavorativo stressogeno è configurabile come fatto ingiusto, suscettibile di condurre anche al riesame di tutte le altre condotte
datoriali allegate come vessatorie, ancorché apparentemente lecite o solo episodiche, in
quanto la tutela del diritto fondamentale della persona del lavoratore trova fonte
direttamente nella lettura, costituzionalmente orientata, dell’art. 2087 c.c.”.

Ne parleremo più approfonditamente nel prossimo Staff Round.

Avv. Paola Rosignoli
Consulente Legale Anaao Regione Toscana

LEGGI LA SENTENZA COMPLETA

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