Il disagio degli operatori sanitari rappresenta un’emergenza silenziosa in costante crescita negli ultimi anni ed è oggi una delle criticità più rilevanti del sistema sanitario. Quotidianamente, gli operatori affrontano ritmi di lavoro serrati, elevate responsabilità, situazioni a forte impatto emotivo e una carenza di risorse. A questi elementi si aggiunge la pressione organizzativa, un insieme di fattori che può ridurre la motivazione e compromettere il benessere psicofisico.
Nel contesto lavorativo, inoltre, possono manifestarsi diverse forme di comportamento vessatorio o manipolatorio che incidono negativamente sul benessere del lavoratore e sull’organizzazione. Tra queste, le più rilevanti sono lo straining, il mobbing e il gaslighting, ciascuna con caratteristiche peculiari.
Lo straining consiste in un singolo atto ostile o in una situazione lavorativa organizzata in modo tale da generare condizioni di stress prolungato per il lavoratore, pur in assenza di una serie continuativa di comportamenti persecutori. Può manifestarsi come un’azione isolata dai risvolti duraturi e penalizzanti, ad esempio l’esclusione da attività rilevanti, il mancato accesso alle informazioni necessarie, il demansionamento ingiustificato o un trasferimento immotivato. Pur essendo meno sistematico rispetto al mobbing, è riconosciuto come un comportamento lesivo a tutti gli effetti.
Come recentemente scritto dall’avvocato Paola Rosignoli (Pillola di genere: Ambiente di lavoro “stressogeno”: la sentenza della corte di cassazione, Ottobre 2025) anche la giurisprudenza si è posto il problema individuando le responsabilità del datore di lavoro che consenta, anche colposamente, il mantenersi di un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori ovvero ponga in essere comportamenti, anche in sé non illegittimi, ma tali da poter indurre disagi o stress ai lavoratori.
Il mobbing è un insieme di comportamenti ostili, ripetuti e sistematici nel tempo, messi in atto con l’intento di emarginare, screditare o danneggiare un lavoratore, fino a comprometterne il benessere psicologico e la posizione professionale. Le azioni possono essere dirette (attacchi personali, umiliazioni, aggressioni verbali) oppure indirette (sovraccarico lavorativo immotivato, isolamento, esclusione da informazioni o attività). Per essere definito tale, il mobbing deve presentare continuità, intenzionalità e un impatto negativo significativo sulla vittima.
L’OSHA, l’Agenzia europea per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ha dedicato numerosi approfondimenti al fenomeno del mobbing, riconoscendolo come un rischio lavorativo rilevante. Le schede informative pubblicate dall’Agenzia mirano ad aiutare nel riconoscimento e nella gestione del mobbing, sottolineando come esso rappresenti un problema significativo sia per il lavoratore sia per l’ azienda. L’OSHA evidenzia inoltre che si tratta di un comportamento non etico, oppressivo e inaccettabile in qualsiasi ambiente professionale. La prevenzione del mobbing è infatti uno degli obiettivi della strategia europea per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (OSHA Fact Sheet 43).
Anche il Parlamento Europeo ha preso posizione, esortando gli Stati membri a rivedere e, ove necessario, integrare la normativa vigente in materia di contrasto al mobbing e alle molestie sessuali sul posto di lavoro, nonché a verificare e ad uniformare la definizione della fattispecie del mobbing. Raccomanda inoltre l’adozione di politiche preventive efficaci, la creazione di sistemi di scambio di esperienze, la definizione di procedure di tutela per le vittime e la promozione di attività formative rivolte a lavoratori, dirigenti, parti sociali e medici del lavoro sia nel settore pubblico che privato (OSHA Fact Sheet 43).
Secondo l’OSHA, esistono diversi fattori che aumentano la probabilità dell’insorgere del mobbing: una cultura organizzativa tollerante o poco sensibile al problema, cambiamenti repentini nella struttura organizzativa, l’insicurezza occupazionale, una scarsa qualità delle relazioni tra personale e direzione, bassi livelli di soddisfazione nei confronti della leadership, ma anche conflitti tra colleghi, richieste lavorative eccessive, politiche del personale deboli e un elevato livello di stress lavorativo. Anche i conflitti di ruolo possono contribuire alla comparsa di comportamenti vessatori.
La prevenzione del mobbing è un elemento chiave per migliorare il benessere organizzativo. I datori di lavoro dovrebbero intervenire tempestivamente in presenza di segnali di deterioramento del clima interno, senza attendere che siano le vittime a denunciare la situazione. È necessario adottare strategie specifiche contro il mobbing, parallelamente a interventi volti a migliorare l’ambiente psicosociale. Fondamentale è il coinvolgimento attivo dei lavoratori e dei loro rappresentanti (OSHA Fact Sheet 43).
Un passo importante consiste nello sviluppare una cultura organizzativa basata su valori e standard contrari al mobbing, favorendo la consapevolezza di tutti rispetto al fenomeno, analizzandone diffusione e caratteristiche e migliorando le competenze del management nella gestione dei conflitti e nella comunicazione. L’OSHA suggerisce inoltre l’adozione di una politica formale che definisca orientamenti chiari per interazioni sociali positive e impegni etici condivisi, esplicitando le condotte accettabili e inaccettabili, le conseguenze delle violazioni, le tutele per le vittime e le procedure di segnalazione, garantendo sempre riservatezza e protezione da ritorsioni. La politica dovrebbe anche indicare le figure di riferimento, i servizi di supporto disponibili e le modalità di intervento (OSHA Fact Sheet 43).
Nel contesto del mobbing può essere utilizzata anche la tecnica del gaslighting, una forma di manipolazione psicologica volta a far dubitare il lavoratore della propria percezione, memoria o lucidità. Si manifesta attraverso la negazione di fatti evidenti, la distorsione sistematica della realtà, la minimizzazione delle difficoltà riportate o la delegittimazione delle competenze (“non è successo”, “stai esagerando”, “sei troppo sensibile”). L’obiettivo è ridurre la sicurezza della vittima, minarne l’autostima o screditarla agli occhi degli altri, rendendola più vulnerabile e controllabile.
Il termine gaslighting deriva dal film del 1938 Gas Light, con Ingrid Bergman, in cui un uomo manipola l’ambiente domestico per far dubitare la moglie della propria sanità mentale. Oggi il termine indica una forma di violenza psicologica basata sulla manipolazione sistematica e sulla diffusione di informazioni false, con l’intento di minare la capacità della vittima di fidarsi di sé stessa. Quando questo tipo di manipolazione si prolunga nel tempo, può portare a una profonda perdita di autostima, alla compromissione della capacità di discernimento e allo sviluppo di una forte sudditanza psicologica.
Il gaslighting quindi è una forma di manipolazione psicologica che può avere effetti profondamente negativi sul benessere dei dipendenti e sull’atmosfera lavorativa. Questa pratica può essere messa in atto da superiori, colleghi o anche da subordinati, contribuendo alla creazione di un ambiente tossico, caratterizzato da ansia, stress, calo della produttività e diminuzione della soddisfazione professionale.
La psicologa del lavoro Eleonora Valè (Eleonora Valè, 7 marzo 2024 – “Gaslighting sul lavoro: riconoscere e contrastare”, piattaforma TRAINECT) offre una serie di indicazioni utili per riconoscere e contrastare il gaslighting, poiché spesso si manifesta in modo sottile e graduale. Il primo passo, sottolinea la psicologa, è prendere consapevolezza del fenomeno, imparando a fidarsi delle proprie percezioni: se qualcosa “non torna”, è importante ascoltare il proprio istinto e cercare conferme oggettive.
Tra le strategie consigliate figurano:
- Documentare gli episodi, per avere prove concrete di ciò che accade.
- Cercare supporto, confrontandosi con colleghi fidati o con un professionista, così da valutare la situazione con maggiore oggettività.
- Stabilire confini chiari, ponendo limiti netti nei confronti di chi mette in atto comportamenti manipolatori.
- Informarsi sulle politiche aziendali relative al benessere dei lavoratori e segnalare ai responsabili competenti eventuali episodi di gaslighting.
Il gaslighting sul lavoro è un fenomeno serio che richiede attenzione e interventi tempestivi. Saper riconoscerne i segnali e adottare strategie efficaci per contrastarlo è fondamentale per creare un ambiente professionale sano e rispettoso, in cui ogni individuo possa sentirsi valorizzato e al sicuro.
I rischi psicosociali e le loro conseguenze sulla salute mentale e fisica rappresentano oggi una delle sfide più complesse nell’ambito della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. Come recentemente ribadito da OSHA, che ha dedicato un documento specifico a questo tema nel settore sanitario e sociale europeo, tali rischi non solo incidono sul benessere individuale, ma possono influire negativamente anche sull’efficienza delle organizzazioni e sulle economie nazionali.
Stress, ansia e depressione costituiscono il secondo problema di salute lavoro-correlato più diffuso tra i lavoratori europei. Parlare apertamente di salute mentale in azienda, tuttavia, è ancora spesso difficile a causa del timore di stigmatizzazione. Nonostante ciò, quasi il 45% dei lavoratori dichiara di essere esposto a fattori di rischio in grado di compromettere la propria salute psicologica.
Da tutte queste considerazioni emerge quanto sia fondamentale prevenire situazioni che possano generare stress nell’ambiente di lavoro. In questo senso, il CCNL 2018-2021, all’art. 8 relativo all’Organismo paritetico per l’innovazione, stabilisce che tale organismo rappresenta la sede in cui si promuovono in modo stabile relazioni aperte e collaborative su numerosi temi, tra cui la legalità, la qualità del lavoro e il benessere organizzativo. Esso svolge inoltre attività di analisi, indagine e studio, formulando proposte e misure volte a migliorare il benessere organizzativo e lavorativo del personale dirigente.
Nel quadro dei fenomeni di disagio lavorativo, straining, mobbing e gaslighting rappresentano tre dinamiche differenti, sebbene talvolta interconnesse, accomunate dagli effetti negativi sul benessere psicologico e sulla dignità professionale del lavoratore. Conoscerle e saperle riconoscere correttamente è essenziale per prevenire situazioni conflittuali, favorire un clima lavorativo sano e tutelare l’integrità della persona.
Le strategie da mettere in atto prevedono, da un lato, una valutazione del rischio conforme alle normative vigenti, che includa anche i rischi psicosociali. Le aziende devono impegnarsi in questo processo coinvolgendo l’intera organizzazione, a partire dalla direzione, che ha il compito di progettare e gestire il lavoro. È inoltre necessario costruire percorsi di conoscenza e crescita, individuando le misure di prevenzione più adeguate.
Dal lato sindacale, è fondamentale verificare che i rischi psicosociali vengano effettivamente presi in carico attraverso gli strumenti previsti dal CCNL, come gli organismi paritetici che dovrebbero considerare il tema del benessere lavorativo.
Lucia Miligi
GDL donne ANAAO Toscana




